+11% rispetto all’anno scorso, con un fatturato generale di 35,1 miliardi di €: questa è la situazione delle vendite online nel nostro Paese secondo l’ultimo rapporto della Casaleggio Associati.
Un’immagine più che positiva, direttamente collegata al fatto che sempre più aziende, negli ultimi 12 mesi, hanno aperto la propria attività al web, dimostrando di aver compreso che il mondo del commercio al dettaglio si muove sempre più in direzione della rete.
A conferma di ciò il dato che mostra come, anche nel 2018, le vendite concluse in internet sono state di più rispetto a quelle dei negozi fisici, proprio perché negli store digitali gli utenti possono vivere un’esperienza creata su misura delle loro nuove abitudini.
Infatti, come testimonia Inside Marketing.it, uno degli elementi fondamentali per il successo dell’e-commerce in Italia è proprio l’attenzione alla creazione di esperienze uniche, che siano su misura di ogni singolo consumatore, mostrando grande originalità e potenzialità.
Una pratica in cui è maestra Amazon, che ancora una volta domina il mercato dei marketplace con un fatturato di 177,9 miliardi di dollari, dovuti in buona parte la fatto che ai consumatori ormai non basta più la “fisicità” di un negozio.
Tuttavia, anche se il dato è in crescita, nel 2018 solo il 17% delle aziende nostrane ha investito in una strategia omnicanale per elaborare i dati relativi a anagrafica, comportamento d’acquisto, interazione con i canali proprietari (sito, social, call center, etc.), er creare esperienze personalizzate.
Tra i settori che sono cresciuti maggiormente nell’ultimo anno, per E-Marketer al primo posto per c’è il fashion retail.
La moda, infatti, è stato il comparto che ha registrato la crescita maggiore: +28% rispetto all’anno scorso, con un fatturato generato totale di oltre 700 milioni di €.
Secondo Casaleggio Associati, Il valore dell’e-commerce in Europa è stimato a 602 miliardi di euro.
Il numero di persone che effettua acquisti online nel vecchio continente è pari a 324 milioni.
Il mercato online delle vendite al dettaglio è stimato in 267 miliardi di euro, in crescita del 10% rispetto all’anno scorso.
Il 68% degli utenti internet europei fa acquisti online, con evidenti differenze tra i Paesi dell’Unione (si passa dal 23% della Romania all’86% del Regno Unito).
Regno Unito, Germania e Francia dominano la scena europea, generando il 70% del fatturato e-commerce europeo e guadagnando un ulteriore 5% rispetto all’anno precedente.
Però, tra i Paesi che hanno fatto registrare la crescita più veloce negli ultimi cinque anni ci sono l’Olanda e Italia, tanto che per loro si prevede un’ulteriore crescita del 14% ogni anno fino al 2021.
In media, in Europa si spendono 826 € per user, spesa che prevede un aumento a 873 nel prossimo anno.
Altro elemento fondamentale che ha garantito (e garantirà) un’ottima crescita dell’e-commerce nostrano, secondo NetStrategy.it, è la targhetta “Made in Italy” che nel mondo ha ancora un ottimo appeal ed è sinonimo di qualità.
I prodotti realizzati da aziende italiane registrano continuamente dati positivi e permettono alle varie attività di accrescere la propria visibilità e incrementare la consapevolezza di ciò che un marchio può offrire in più rispetto a tutti gli altri presenti sul mercato.
Il 74% delle aziende tricolore che vendono all’estero hanno evidenziato proprio come il Made in Italy sia un asset della propria strategia e comunicazione in rete; in pratica, il solo fatto di nominare un prodotto realizzato in Italia fa alzare le orecchie e l’attenzione dei clienti, soprattutto se stranieri.
Inoltre, il “papà” dell’e-commerce, il colosso Amazon, ha registrato per la sezione dedicata al Made in Italy un incremento del 40% sulle vendite all’estero, destinate soprattutto in Europa, USA e Giappone.
Ovviamente, per avere un sito e-commerce che superi ogni tipo di confine non basta essere promotori del Made in Italy ma risulta opportuno avere dalla propria parte una piattaforma in più lingue.
La percentuale di fatturato estero sul totale delle vendite online per aziende italiane è pari al 32% per le attività che dispongono di un sito multilingua, poco più della metà (19%) per le aziende che vendono in altri Paesi con un sito in sola lingua italiana.
Questi dati sono stilati sul 65% delle attività italiane, quelle che vendono oltre confine, mentre il 35% è chiuso ancora al solo territorio italiano.